domenica 11 novembre 2007

Intrappolare il gusto

I sistemi che ci fanno percepire il gusto di quello che mettiamo in bocca sono quasi equalmente divisi tra la bocca stessa e il naso. La prova di questo ce l'abbiamo sotto glio occhi spoesso in questo periodo dell'anno. Con il raffreddore non si sente il gusto di niente. Tutto sembra una gelatina informe che vaga nella bocca prima di essere inghiottita.

Le molecole responsabili della percezione gustativa nel naso sono dette molecole volatili in quanto possiedono un punto di ebollizione molto basso quindi all'interno della bocca (come nel piatto) si trovano sottoforma di gas. Il gas passa nelle cavità nasali attraverso la farnige, che si trova nella parte posteriore della bocca e la mette in comunicazione con il naso.

Dal punto di vista culinario quindi, intrappolare le molecole volatili nei cibi o evitarne che ne escano, permette di ottenere cibi dal gusto più intenso.
Hervè This ci dà un idea di come fare parlando di compatimentazione, cioè imprigioniamo i sapori attraverso sostanza in grado si creare una barriera protettiva attorno a porzioni (microscopiche) di cibo, impedendo ai sapori volatili di disperdersi prima chevengano liberati meccanicamente dalla masticazione. Ovviamente l'agente protettivo non deve disturbare il sapore del cibo generale.

L'agente più comodo e subito utilizzabile da tutti è la gelatina già usata per preparare salse, alla quale è però da preferirsi quella di derivazione vegetale (la "colla di pesce" è un polimero, il collagene, derivato dal maiale o dai bovini) cioè la fecola di patate.
La fecola non è altro che un polimero di glucosio (amido), insapore e dal colore grigiastro perfetto peril nostro scopo. Il polimero filante di fecola si ottiene disperdendo (5-10% del peso tottale fecola+acqua) la polvere che si trova in commercio in acqua o liquido acquoso e lasciandola poi raffreddare in continuo movimento.
Il gel che si forma è adatto ad essere inserito in cibi liquidi, anche per giocare con la loro consistenza (tramite la percentuale di polvere aggiunta all'acqua). Questo fatto lo avrete sicuramete già incosciamente sfruttato nella preparazione del budino in busta.

Per i cibi solidi il metodo è lo stesso solo che il supporto solido in cui intrappolare i sapori è già presente. Si può far bollire il cibo il un brodo aromatico (decotto), immergerlo in liquido profumato già caldo (infusione) o lasciarlo marinare in vino e aromi (macerazione).
Anche il ripeno è, a suo modo, un tipo di compartimentazione.

giovedì 8 novembre 2007

Liberarsi del peperoncino

Il peperoncino è una spezia favolosa per chi lo apprezza. Per chi non lo apprezza o è ai primi approcci con la rossa prelibatezza, la conoscenza reciproca può essere traumatica.

Il principio che fa "bruciare" il peperoncino è la capsaicina che è contenuta soprattutto nei semi e che viene liberata facilmente quando si scalda.

NO PANIC BUTTON Se ne avete mangiato un chilo, se vi è andato su per il naso (negli occhi è diverso ma simile) e vi sembra di andare e fuoco, non vi preoccupate. Non morirete. La capsaicina stimola dei centri nervosi cerebrali che interpretano il segnare come dolore quando in realtà non c'è danno tissutale cioè la vostra lingua sta benissimo anche se sembra che si stia carbonizzando.

Appuranto che la nostra lingua non si sta per sciogliere da un momento all'altro, possiamo tentare di mitigare il sintomo. La capsaicina è una molecola solubile nei grassi quindi per eliminarla occorre qualcosa in cui la molecola si sciolga e che la porti via dai recettori della lingua.

1) Latte: una volta funzionava bene, quando era crudo e intero. Chi ha la fortuna di averlo (come me...) lo può usare con risultati soddisfacenti. Il parzialmente scremato è quasi controproducente. Evita.

2) Yogurth: quello intero è il migliore ma anche gli altri fanno qualcosa. Poi è freddo quindi aiuta. Da tenere in bocca un pò poi da mandare giù. Credo sia il migliore.

3) Olio: scientificamente è la scelta migliore ma culinariamente credo sia improponibile.

4) In omnia pericula: il pane è il rimedio della nonna, non funziona molto ma aiuta, asportando meccanicamente le molecole che acora girano in bocca

DA NON FARE quello da non fare è la risposta più ovvia (senno che lo scrivevo a fare il post?!) bere acqua. L'acqua vi pulisce la bocca dalle particelle in sospensione nella saliva e da quelle solubili legate sulla lingua, tra le quali non c'è la capsaicina. La nostra amica quindi resta legata ai recettori sulla lingua indisturbata a fare danni mentre voi le avete procurato un bell'ambiente per agire, rinnovando la saliva (che è per lo più acqua) ed eli
minando meccanicamente le sostanze oleose che avrebbero potuto mitigarla eventulmente presenti nella saliva precedente.

Sottovuoto

Visto che l'ho nominato nel post precedente, vediamo un attimo a che ci può servire il vuoto in cucina. L'utilizzo del vuoto non è certo una tecniche prontamente riproducibile da tutti in cucina, ma con un pò di pazienza ed ingegno ci si può arrangiare.

FILTRAZIONE Chiunque sia entrato in un qualsiasi laboratorio, alla parola vuoto assocerà immediatamente la parola filtrazione.
La filtrazione sottovuoto è un principio semplice. Se una cosa vi viene scagliata addosso vi arriverà sicuramente in faccia se voi contemporaneamente la tirate verso di voi, cosa che invece potrebbe non succedere se lasciate che passivamente si avvicini a voi con le sue sole forze. Il pricipio è lo stesso per la filtrazione a vuoto. Creiamo il vuoto al di sotto di un filtro e "tiriamo" (per la differenza di pressione maggiore) quello che sta al di sopra del filtro. Ovviamente passerà solo quello che fisicamente è permesso dalle maglie de filtro lasciando al di sopra il resto.
In questo modo possiamo chiarificare un brodo senza perderne gli aromi oppure estrarre la frazione liquida da qualsiasi frutto o verdura per gli usi più fantasiosi. La spremuta d'arance assoluta.

COTTURA/1 La minore pressione all'interno del contenitore permette di "sviluppare" piatti che si gonfiano in misura maggiore. La bassa pressione permette ai liquidi all'interno dei cibi di evaporare a temperature minori, e quindi, a parità di temperatura, un liquido in un contenitore sottovuoto evapora di più. Aggiungente un agente strutturante (una pasta, per Diana! Parliamo commestibile!) ed eccovi un vostro bignè soffice o una meringa "nuvolosa" dalla consistenza del cotone.

COTTURA/2 Sfruttando in maniera diversa lo stesso principio di prima, visto che i liquidi sottovuoto si trsformano ad una temperatura minore, possiamo cuocere le pietanze ad una temperatura minore. Per esempio, tenendo conto che le proteine della carne denaturano e le cellule perdono consistenza e "succhi" a 65-68°C, cuocendo una carne in genere stopposa sotto queste temperature, sottovuoto, si mantiene l'integrità delle fibre di collagene, lasciando la carne morbida.
Il parametro della morbidità della carne infatti dipende frazione d'acqua contenuta, frazione che resta elevata anche dopo la cottura sottovuoto perchè le cellule e le proteine che compongono sono ancora integre, consentendo di trattenere i "succhi" all'interno.

Cucina Molecolare

Il termine cucina molecolare o, come preferisce il suo inventore, gastronomia molecolare nasce negli anni ottanta dalla sinergia di due menti (malate? :D) che ne hanno posto le fondamenta: Pierre Gilles de Gennes (premio nobel per la fisica nel 1991) e Hervé This (fisico ma soprattutto gastronomo), entrambi francesi.

Stanchi dei luoghi comuni e del "sentito dire" in cucina decisero che era giunto il tempo di mettere ordine. Partendo dal presupposto che cucinare non è altro che trasformare, analizzarono (e analizzano) i processi di trsformazione dei cibi per ricavarne leggi universalmente valide.
Lungi dal voler creare una cucina standardizzata, si dedicarono anima e corpo al progetto, il quale nei decenni successivi risuonò come un uragano nelle cucine di tutto il mondo, dando origine a scuole di pensiero, adepti, clan, sette e scissionisti...

Ad oggi una formazione "ibrida" tra cucina tradizionale e cucina molecolare fa parte di molti top-chef italiani e mondiali, uno fra tutti Igles Corelli che nella sua "Locanda della Tamerice" mescola prodotti di una filiera totalmente biodinamica, a metodi innovativi come la cottura sottovuoto o l'utilizzo dell'azoto liquido.